
Di Gabriele Sutera
Questo blog è anche disponibile in inglese
26-04 -2015. L’ultima scossa verso mezzogiorno, subito dopo ci siamo messi in moto per andare al villaggio. Lungo la strada attraversiamo centri abitatiche sembrano fantasma, tutte le case sono chiuse, le saracinesche abbassate. Lontano dagli edifici la gente è sdraiata per strada,protetti solo da tendoni impprovvisati. La paura di rietrarenelle case è troppo forte, ormai da ieri si vive per strada. La prima scossa è stata troppo forte e il suo ricordo è ancora fresco. Lasciamo la Prihviti highway che collega Kathmandu e Pokhara e ci addentriamo nel distretto di Ghorka. Più ci inoltiramo e più sono evidenti i danni causati dal tremore. Una decina di kilometri prima della città di Ghorka, deviamo sulla sinistra e ci immettiamo su una strada sterrata, continuiamo per una buona mezzora finchè Tikaram mi dice di accostare e fermarmi propio accanto ad una stalla di cui resta solo il tetto, mezzo tetto. Parcheggiamo la moto e cominciamo a camminare. Siamo appena arrivati nel VDC (Village Development Committee) di Mirkot. Attraversiamo il fiumiciattolo che costeggia il villaggio, e poi cominciamo a salire verso delle case che si vedono in cima alla collina. Tikaram indica un piccolo bosco che costeggia il cammino e mi dice, “Eh Arjun, you see this forest? Ten years ago there was no forest”.Incuriosito gli chiedo il perchè, lui mi spiega che molta gente è andata via preferendola città, l’India o il Terai (la zona pianeggiante del Nepal). Il percorso continua a inerpicarsi su per la collina, il bosco lascia posto alle terrazze in cui il riso e il mais è stato piantato da pochi giorni. Il cammino ci porta di fronte a due case che appartengono al villaggio di Lapshishour, i suoi abitanti stanno fuori, fissano le case e hanno gli sguardi un po’ persi, c’è molto caldo a questora. Entrambi gli edifici sono evidentemente danneggiati, ma stanno ancora in piedi.I tetti in alluminio sono ancora al loro posto, gli spessi muri in pietra, legati con cemento e terra, e ricoperti da terra rossa sono evidentemente crepati. Chiedo se è possibile entrare per dare un’occhiata. Una piccola scaletta di legno porta al balconcino del primo piano, il pavimento è cosparso di pietre e calcinacci, un grosso foro alto circa un metro e largo un paio permette alla luce di entrare nelle stanze che fino ad allora erano servite come camere da letto e deposito viveri. L’edificio, che da fuori sembrava appena danneggiato, è internamente devastato, i muri interni sono collassati, dei letti si vedono appena i cuscini, i 6 quintali di riso e i 3 quintali di mais, sono sotterrati da grosse pietre, polvere e calcinacci. La situazione è simile nell’edificio adiacente. Nel secondo edificio la porta del deposito non si può neanche aprire. Il prossimo raccolto sarà tra quasi tre mesi. Bisogna cominciare a scendere a valle prima che si faccia buio. Mentre camminiamo con Tikaram discutiamo le sorti del piccolo villaggio di appena 100 anime, secondo lui questo terremoto segna la fine di questa piccola comunità agricola. Al villaggio giù a valle gli abitanti ci invitato a bere un the e ci raccontano la violenza del terremoto.
Io ero in azienda quando la prima scossa fortissima ha fatto trasbordare l’acqua dalla gebbia accanto alla quale stavamo lavorando. Doveva essere quasi un giorno di festa, infatti stavamno dissotterrando i corni di bovini con dentro il preparato BD 500, un tesoro grandissimo per chi fa agricoltura bio dinamica. Circa un’ora dopo un’altra scossa fortissima. La gente a questo puntoera ancora più spaventata.Il nostro vicino, Gimre, che era venuto a darci una mano è sobalzato e con un salto si è allontanato il più possibile dalla gebbia aggrappandosi con forza al mio braccio. Ancora non ci eravamo bene resi conto della gravità della situazione. L’azienda è situata ad appena 40 km dall’epicentro del terremoto. Subito dopo pranzo le prime notizie sono arrivate, ho contatto unamico che stava viaggiando verso Kathmandu, mi raccontava una città mezza distrutta e nel caos. Le scosse hanno continuato più leggere durante la notte. La mattina del giorno seguente, puntuali come ogni giorno, i lavoratori sono venuti in azienda alle 5.45, il lavoro inizia alle 6. Hanno raccontantato che hanno passato la notte in bianco. Alle 10 dopo il daal baat tarkari quotidiano (lenticchie, riso e ortaggi) tutti sono rientrati a casa per occuparsi dei loro averi e delle proprie famiglie. Sistemare le cose in vista di altre scosse, portare le cucina a gas fuori, mettere al sicuro il raccolto, e preparare le tende dove passare la notte. Tikaram, il manager dell’azienda,era appena riuscito a mettersi in contatto con la madre che vive in un villaggio a una ventina di km dall’epicentro. La sua casa è inagibile. Ho Proposto a Tikaram di prendere la moto e andare a fare una visita al villaggio, era quasi mezzogiorno.
Come il villaggio di Lapshishour ce ne sono centinaia in Nepal e nella zona interessata dal terremoto. Adesso tutta l’attenzione è rivolta verso Kathmandu e i grandi centri abitati trascurando le campagne e i suoi abitanti. La stagione delle pioggie è imminente e il tempo per la ricostruzione probabilmente non sarà sufficente. Che ne sarà di tutti i piccoli agricoltori e delle loro famiglie che vivono in zone remote e che per la loro sussistenza contano quasi interamente sui proprio raccolti e le proprie energie?
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26-04 -2015. L’ultima scossa verso mezzogiorno, subito dopo ci siamo messi in moto per andare al villaggio. Lungo la strada attraversiamo centri abitatiche sembrano fantasma, tutte le case sono chiuse, le saracinesche abbassate. Lontano dagli edifici la gente è sdraiata per strada,protetti solo da tendoni impprovvisati. La paura di rietrarenelle case è troppo forte, ormai da ieri si vive per strada. La prima scossa è stata troppo forte e il suo ricordo è ancora fresco. Lasciamo la Prihviti highway che collega Kathmandu e Pokhara e ci addentriamo nel distretto di Ghorka. Più ci inoltiramo e più sono evidenti i danni causati dal tremore. Una decina di kilometri prima della città di Ghorka, deviamo sulla sinistra e ci immettiamo su una strada sterrata, continuiamo per una buona mezzora finchè Tikaram mi dice di accostare e fermarmi propio accanto ad una stalla di cui resta solo il tetto, mezzo tetto. Parcheggiamo la moto e cominciamo a camminare. Siamo appena arrivati nel VDC (Village Development Committee) di Mirkot. Attraversiamo il fiumiciattolo che costeggia il villaggio, e poi cominciamo a salire verso delle case che si vedono in cima alla collina. Tikaram indica un piccolo bosco che costeggia il cammino e mi dice, “Eh Arjun, you see this forest? Ten years ago there was no forest”.Incuriosito gli chiedo il perchè, lui mi spiega che molta gente è andata via preferendola città, l’India o il Terai (la zona pianeggiante del Nepal). Il percorso continua a inerpicarsi su per la collina, il bosco lascia posto alle terrazze in cui il riso e il mais è stato piantato da pochi giorni. Il cammino ci porta di fronte a due case che appartengono al villaggio di Lapshishour, i suoi abitanti stanno fuori, fissano le case e hanno gli sguardi un po’ persi, c’è molto caldo a questora. Entrambi gli edifici sono evidentemente danneggiati, ma stanno ancora in piedi.I tetti in alluminio sono ancora al loro posto, gli spessi muri in pietra, legati con cemento e terra, e ricoperti da terra rossa sono evidentemente crepati. Chiedo se è possibile entrare per dare un’occhiata. Una piccola scaletta di legno porta al balconcino del primo piano, il pavimento è cosparso di pietre e calcinacci, un grosso foro alto circa un metro e largo un paio permette alla luce di entrare nelle stanze che fino ad allora erano servite come camere da letto e deposito viveri. L’edificio, che da fuori sembrava appena danneggiato, è internamente devastato, i muri interni sono collassati, dei letti si vedono appena i cuscini, i 6 quintali di riso e i 3 quintali di mais, sono sotterrati da grosse pietre, polvere e calcinacci. La situazione è simile nell’edificio adiacente. Nel secondo edificio la porta del deposito non si può neanche aprire. Il prossimo raccolto sarà tra quasi tre mesi. Bisogna cominciare a scendere a valle prima che si faccia buio. Mentre camminiamo con Tikaram discutiamo le sorti del piccolo villaggio di appena 100 anime, secondo lui questo terremoto segna la fine di questa piccola comunità agricola. Al villaggio giù a valle gli abitanti ci invitato a bere un the e ci raccontano la violenza del terremoto.
Io ero in azienda quando la prima scossa fortissima ha fatto trasbordare l’acqua dalla gebbia accanto alla quale stavamo lavorando. Doveva essere quasi un giorno di festa, infatti stavamno dissotterrando i corni di bovini con dentro il preparato BD 500, un tesoro grandissimo per chi fa agricoltura bio dinamica. Circa un’ora dopo un’altra scossa fortissima. La gente a questo puntoera ancora più spaventata.Il nostro vicino, Gimre, che era venuto a darci una mano è sobalzato e con un salto si è allontanato il più possibile dalla gebbia aggrappandosi con forza al mio braccio. Ancora non ci eravamo bene resi conto della gravità della situazione. L’azienda è situata ad appena 40 km dall’epicentro del terremoto. Subito dopo pranzo le prime notizie sono arrivate, ho contatto unamico che stava viaggiando verso Kathmandu, mi raccontava una città mezza distrutta e nel caos. Le scosse hanno continuato più leggere durante la notte. La mattina del giorno seguente, puntuali come ogni giorno, i lavoratori sono venuti in azienda alle 5.45, il lavoro inizia alle 6. Hanno raccontantato che hanno passato la notte in bianco. Alle 10 dopo il daal baat tarkari quotidiano (lenticchie, riso e ortaggi) tutti sono rientrati a casa per occuparsi dei loro averi e delle proprie famiglie. Sistemare le cose in vista di altre scosse, portare le cucina a gas fuori, mettere al sicuro il raccolto, e preparare le tende dove passare la notte. Tikaram, il manager dell’azienda,era appena riuscito a mettersi in contatto con la madre che vive in un villaggio a una ventina di km dall’epicentro. La sua casa è inagibile. Ho Proposto a Tikaram di prendere la moto e andare a fare una visita al villaggio, era quasi mezzogiorno.
Come il villaggio di Lapshishour ce ne sono centinaia in Nepal e nella zona interessata dal terremoto. Adesso tutta l’attenzione è rivolta verso Kathmandu e i grandi centri abitati trascurando le campagne e i suoi abitanti. La stagione delle pioggie è imminente e il tempo per la ricostruzione probabilmente non sarà sufficente. Che ne sarà di tutti i piccoli agricoltori e delle loro famiglie che vivono in zone remote e che per la loro sussistenza contano quasi interamente sui proprio raccolti e le proprie energie?